We were family

Paris, Texas lo vidi la prima volta al cinema un quarto di secolo fa: pensiero che mi ha abbastanza turbato quando mi e' capitato di rivederlo Domenica scorsa qui al Barbican.

A rinforzare la sensazione sembra ieri (ricordo perfettamente con chi ero quella sera di venticinque anni fa ad esempio) e' stato anche il fatto che a distanza di tutto questo tempo almeno un paio di frammenti del film (frammenti lunghi: 20 minuti l'uno grosso modo) era come se quello che scorreva sullo schermo li stesse solo gentilmente rispolverando dalla mia memoria. Erano sempre rimasti li', e consciamente o no quel cassetto della mente devo averlo aperto parecchie volte se solo un sottile, invisibile strato di polvere si era depositato su di loro.

Sono la prima parte, quella silenziosa girata nel Grand Canyon, e la scena madre, il secondo incontro tra Harry Dean Stanton e Nastassja Kinski, quello nel quale lui si rivela e le da' indicazioni per incontrare il figlio.

Quello che non ricordavo piu', e che forse non poteva colpirmi quando ero solo poco piu' che adolescente, e' la delicatezza con la quale Wenders rappresenta la ricostruzione del rapporto tra il padre e il figlio che non si vedono da quattro anni: il secondo tentativo di andare a prendere il bambino a scuola (che dev'essere stato mandato a memoria dal Benigni di La vita e' bella) e poi tutto il viaggio in pick up tra Los Angeles e Austin, con le comunicazioni che avvengono via walkie talkie, li ho trovati di una tenerezza indescrivibile. Il modo naturale con il quale i due si riscoprono e riprendono la comunicazione interrotta mi ha colpito per la sua forza emotiva: che e' sottile, cresce gradualmente e viene trasmessa con immensa, calda spontaneita'.

E' questo calore, abbastanza inedito nelle pellicole del regista tedesco, e lontanissimo dal Wenders freddo e cerebrale dei film meno memorabili (Fino alla fine del mondo, La fine della violenza), che si fa strada per tutto il film come nota dominante. Con Wenders sempre attento a camminare da questa parte del sentimentalismo, ben bilanciato come un equilibrista su un filo.

Poi a colpirmi ancora oggi sono stati i tempi perfetti, la fotografia magistrale (tutti i giochi di riflessi, per esempio), i dialoghi e i silenzi, e naturalmente la musica di Ry Cooder: che per Paris, Texas ha scritto forse una delle dieci colonne sonore piu' memorabili della storia del cinema.

Commenti

: alice; ha detto…
sorrido. eccome.
da tempo oramai asserisco fiera di non poter annoverare, in una top ten o twenty o qualsiasi altro numero, i migliori film passati lungo la mia vita.
da tempo perĆ² affermo sicura che esiste un solo film che, come si diceva da bambini, ĆØ eletto quale mio "preferito in assoluto" ed ĆØ Paris, Texas.
ho centellinato monetine per riuscire a incorniciare, maestoso e totale, il gigantesco manifesto del 1984 che mio padre si era fatto regalare dal cinema in cui lo avevano proiettato allora. proiezione sponsorizzata da "Aperitivo Punt&Mes".
quando we were a family avevamo due scoiattoli in una grande gabbia a casa: la femmina si chiamava Nastassja, il maschio Kinski.
poi gli scoiattoli si suicidarono nel water e mio padre andĆ² a vivere in un piccolo appartamento umido. alla porta aveva appeso quel manifesto, tutto spiegazzato, affinchĆ© potesse appiccicarsi alla porta minuscola.
allora non capivo nulla. nemmeno sapevo chi fosse Wim Wenders, cercavo di imparare bene le divisioni in colonna a scuola.
una decina di anni fa ho pianto tutta la mia vita sopra quel film. e lo amo per tutte le "tue" ragioni e per tutte le mie.
Fabio ha detto…
Qui a Londra l'anno scorso ha chiuso la bella libreria dedicata al cinema, dove trovavi magnifici manifesti d'epoca. Segno dei tempi. Altrimenti avrei anche io rotto il salvadanaio per procurarmi il manifesto di Paris, Texas questo fine settimana. In rete si trovera', certo, ma resta il rimpianto di non avere fatto quello che fece il tuo babbo, richiedendolo al cinema dove lo vidi mezzo secolo fa. Che chiuse, quel cinema, 15 anni fa per lasciare spazio a un condominio all mod cons, altro segno dei tempi che cambiano.

In quella cittadina resiste solo un Medusa Multisala, ricavato in un centro commerciale, di fianco al McDonald's Drive Thru. Pasolini ci guarda dalla tomba e sorride. Ve l'avevo detto io.

Triste storia quella degli scoiattoli. Spero, se cosi' desideri, che un giorno il tuo babbo decida di ricomporre faticosamente i pezzi della propria vita.

Tutti dovremmo avere il coraggio di farlo, a un certo punto.
: alice; ha detto…
Nel quartiere Beaubourg di Parigi il negoziante bobo mi guardĆ² di striscio e mi rispose scortesemente "Impossible de trouver cette affiche, dĆ©puis longtemps". Impossibile? Da molto tempo invece mio padre lo teneva in mansarda, quel manifesto.
Ci sono uomini, Fabio, bravissimi a perdersi nei deserti per riuscire a inventarsi una strada.
Quella famiglia si ĆØ riallacciata come una lunga conversazione al di lĆ  di un vetro, lo ha fatto nel tempo lungo delle attese.
Babbo e mamma si sono ritrovati davvero sotto quella mansarda. Stranezze dei piccoli miracoli.
Di quegli scoiattoli oggi rido.
Anonimo ha detto…
Fabio: calma, 25 anni sono una vita ma ĆØ pur sempre "solo" 1/4 di secolo. GiĆ  mi sento vecchio cosƬ...Bellissimo film, abbiamo giĆ  piĆ¹ volte rimpianto i tempi del cineforum.
Alice: a parte il fatto che tenere scoiattoli in gabbia lo trovo crudele, che vuol dire che si suicidarono? e perchĆØ adesso ne ridi?

Auro
Fabio ha detto…
Alice -

Purtroppo, ed e' una cosa tristissima dell'essere umani, temo di poter concludere che la perdita sia proprio un presupposto essenziale nel percorso, lunghissimo e faticosissimo, di trovare se stessi. E' l'unica condizione che ti puo' far capire cosa e' davvero importante per te.

A quel punto inizia la ricerca di cio' che si e' perso e, forse, con tanta fortuna e dedizione, potremo ritornare ad avere.

(Attenzione a come si parla di animali e gabbie a Engadina Calling: molti di noi sono convinti animalisti, come vedi dal commento di Auro :)

Auro -

Non l'avrei mai detto allora, ma senza le basi costruite in quel cineforum adesso la mia vita sarebbe molto piu' povera.

E poi mi piace la commistione tra le esperienze, reale e metafisica, di quelle serate.
: alice; ha detto…
esiste un tempo per comprendere e correggere, appunto. un tempo giusto. gli anni 80 non lo furono e scoiattoli e scimpanzĆ© erano compagnie imprigionate a riempire il niente. genitori troppo giovani che hanno perfettamente capito dopo cosa non si puĆ² ingabbiare. non rido per gli scoiattoli, rido di quello che hanno significato quegli anni. e sorrido per quello che significa oggi quel film.
Fabio ha detto…
Credo che quello che scrivi abbia un enorme significato simbolico, e si addice molto a un post che parla di cinema.

In generale, sono molti i modi che tutti quanti usiamo per riempire il niente.

Quando li riconosci, e te ne liberi, ti rendi anche conto che il niente non esiste. Il niente e' una nostra costruzione mentale. C'e' sempre qualcosa, siamo noi che quel qualcosa non lo sappiamo riconoscere e interpretare.

Nel momento in cui lo decodifichiamo, il finto niente non puo' piu' farci paura, e allora siamo in grado di aprire le gabbie e conquistare a noi e agli altri una naturale liberta'.

Ti ringrazio per suscitare in me queste riflessioni, Alice.
rose ha detto…
piĆ¹ prosaicamente vi dirĆ² che ha chiuso anche lo scassatissimo negozio di affiche di via Tadino a Milano, sigh.
Fabio ha detto…
Sto pensando da un po' che un giorno dovremmo fermarci e fare una lista di quello che abbiamo guadagnato (tanto: la disponibilita' di tutto cio' che desideriamo procurarci, una volta che sono state rimosse le barriere geografiche) e quello che stiamo perdendo (ancora di piu' probabilmente, in termini di umanita' e relazioni) a seguito della rivoluzione digitale, dell'e-commerce, ecc.

Solo per capire, considerando che il treno corre a folle velocita' e nessuno puo' pensare di fermarlo ora.

RIP negozio di affiche di via Tadino (come forse ti avevo detto, una delle mie vie preferite di Milano).