E se e' una femmina si chiamera' Futura

E arriva finalmente il colpo di fortuna. Porto il curriculum in una grande profumeria, mi dicono che mi terranno solo per un mese ma alla fine ci metto un tale impegno e una tale passione che mi fanno un contratto di quattro anni. Quattro anni. Una roba da festeggiare. Una roba che ti metti a saltare di gioia e telefoni a tua madre a Catania e le dici: "Siediti che ti devo dare una notizia".

[...]

La sera torno a casa col sorriso. Lo so che non sara' cosi' per sempre, ma ho quattro anni da giocarmi e mi dico che per un po' non vivro' alla giornata. E' gia' qualcosa. Torno a casa e mi addormento davanti alla tv, ma il sabato esco col ragazzo marocchino, ci mangiamo una pizzetta da Altero, andiamo al cinema o a fare una passeggiata. Non so se nascera' qualcosa tra di noi...

Dimenticavo, ieri sono andata al gattile e ho preso Futuro, un gattone tigrato di due anni, finito li' dopo la morte dell'anziana padrona. Non so che nome avesse nella sua prima adozione ma io l'ho chiamato Futuro perche' e' di buon auspicio, perche' l'indifferenza non mi piace, perche' sento che nella vita a furia di bracciate e agitazioni un po' di orizzonte lo intravedi. Adesso, ad esempio, per quattro anni posso tirare il fiato...

(Grazia Verasani, Agata).


Sono un vecchietto, uno di quelli che si e' laureato e pochi giorni dopo gia' lavorava. Contratto a tempo indeterminato, in una casa editrice. Tempi che sembrano lontanissimi: oggi sarebbe impossibile.

Le cose da quando sono entrato nel mondo del lavoro io sono solo peggiorate. I diritti faticosamente guadagnati in un secolo di lotte operaie sono andati perduti in nemmeno un decennio.

Di questo (e di lavoro nero, e di morti bianche, e di disoccupazione dai tempi eterni) parla questa bella raccolta di racconti pubblicata da Einaudi. Quelli che ho preferito sono quello di Grazia Verasani e quello di Barbara Garlaschelli (Matilde e' una persona normale rinchiusa in un corpo che non la segue), che spiega parecchio bene le difficolta' di ottenere un molto necessario part-time (Mamma dice che lei e papa' vengono trattati come paria perche' hanno voluto il part time per starmi vicino. E io mi domando: dov'e' tutto questo scandalo? Sono i miei genitori, perche' non dovrebbero starmi vicino? Perche' fargli la guerra quando stanno gia' combattendo altre battaglie?).

Il racconto di Barbara Garlaschelli mi ha anche fatto pensare a quando, come obiettore di coscienza, lavoravo con ragazzi disabili: l'unico lavoro utile che io abbia mai fatto, senza dubbio.


(Oggi c'e' il sole, ma io sono un po' crepuscolare. B. mi ha chiesto di vederci perche' ha bisogno di parlare con qualcuno che la sappia ascoltare. Le ho proposto un bel pic-nic, spero che un po' di frutta mangiata tra gli alberi curi l'anima di tutti e due).

Commenti

lophelia ha detto…
ciao Fabio, ben ritrovato...spero che il picnic sia andato bene.
Sai, nella tua/nostra generazione non ĆØ cosƬ scontato l'aver scansato il precariato, fino a poco tempo fa l'ho condiviso con un buon numero di coetanei. Bastava essersi distratti un attimo a guardare il panorama o a risolvere problemi familiari, aver perso un treno per un binario sbagliato, non avere figli a carico che ti proiettassero ai vertici delle liste di collocamento. E ti ritrovavi a saltare da un contratto all'altro, nel migliore dei casi.
La nostra generazione ĆØ stata lo spartiacque, dopodichĆ© quella situazione ĆØ diventata la norma - le cose sono solo peggiorate, come dici anche tu.
Fabio ha detto…
Bastava anche avere un sogno, un progetto un po' fuori dagli schemi. Gia' allora il sistema non perdonava.

Quello che sto dicendo e', come dici tu, che siamo stati una generazione spartiacque. Abbiamo ancora tratto qualche vantaggio, immeritato, dalle battaglie dei nostri genitori e fratelli maggiori.

And then came the rush of the flood, stars of night turned deep to dust, come canta Cat Power.
CICCILLO ha detto…
beh, un vantaggio ora i precari ce l'hanno.
che sono piĆ¹ attrezzati ad affrontare quello che sarĆ  il futuro del lavoro.
lo dico perchĆ© quelli che fanno il mio mestiere, che ĆØ precario da prima che esistessero i precari, vedo che sono piĆ¹ attrezzati di coloro che non l'hanno mai sperimentato prima, specialmente quei poveretti che passano dal fisso al precario o peggio ancora al nulla.
quella ĆØ la situazione peggiore e purtroppo se ne cominciano a sentire parecchi.
e questo, va detto, ĆØ un altro bel regalo anche dei vari Treu, Amato, Cofferati, Prodi, Biagi e via dicendo.
tanto per riprendere il discorso del perchƩ nessuno scenda in piazza e del perchƩ gli operai votano lega.
Anonimo ha detto…
Eccomi...mi sento chiamata in causa...dopo anni di contratto a tempo indeterminato mi ritrovo a 41 anni con un contratto a progetto per 12 mesi e retribuzione ridotta di un terzo, ovviamente senza tredicesima, malattia, ecc... e mi ĆØ stato detto che devo apprezzare di questi tempi... dalle mie parti si dice, becca e bastonata... ma devo esserne contenta.

Sole
Fabio ha detto…
Francesco -

Il tuo e' un intervento che condivido molto. In effetti, la perdita di diritti, che Lophelia e io abbiamo descritto come fatto generazionale, sta diventando anche, e sempre di piu', un fatto individuale. Conosco gia' diversi esempi, anche tra i lettori di EC che sono miei amici, di "precariato acquisito", dopo anni di tempo indeterminato.

L'unica cosa del tuo intervento che non mi e' chiara e' il riferimento a perche' nessuno scende in piazza e perche' gli operai votano Lega Nord.

Puo' darsi che sia io a non cogliere il nesso causale, ma a me sembrano fenomeni abbastanza indipendenti.

Da un lato vedo la cosiddetta flessibilita': una formula elegante per scaricare sui lavoratori il rischio d'impresa (con buona pace di pensatori liberali conme Schumpeter che definivano il profitto proprio come la remunerazione di tale rischio). E' questa e' una dimensione economica.

Dall'altro lato vedo la dimensione culturale (sovrastrutturale direbbe il nostro vecchio Carletto Marx), che e' l'adesione acritica ai modelli comportamentali proposti come "moderni", totalmente incentrati sui bisogni individuali (come si diceva qui qualche giorno fa).

Ne consegue la scarsa propensione a spendere energie per rivendicare il soddisfacimento di bisogni percepiti quali collettivi (aria pulita, silenzio, diritti degli immigrati, buon sistema di istruzione pubblica, sanita' pubblica efficiente, trasporti pubblici, ecc.).

Questa e' la spiegazione che mi sono dato al "perche' nessuno scende in piazza": un fatto culturale, piu' che economico.

Dopo di che le due dimensioni spesso si intrecciano tra di loro.

Un esempio? Tutte le volte che lo cito qualcuno poi mi scrive per sottolineare le contraddizioni del personaggio, ma non so se ieri avete letto l'Amaca di Michele Serra. Ve ne riporto un passaggio: "Nei Paesi ricchi, la lotta tra le classi e' stata rimpiazzata dalla lotta tra comportamenti sociali confliggenti. Avere un gippone di sei metri e' una scelta politica. Non avere un gippone di sei metri e' una scelta politica".

Sole -

Viene una rabbia vero? Anche qui a Londra e' un trionfo di cosiddette ristrutturazioni: licenziamenti, contratti stravolti, accettazioni cosiddette volontarie di pay cuts, ecc. Come si esca dalla crisi se il potere di acquisto si riduce lo devo ancora capire. L'avvitamento verso il basso e' potenzialmente infinito. Chi parla di segnali di ripresa andrebbe ricoverato in una clinica psichiatrica per accertamenti: che cavolo di realta' vede che tutti gli altri non vedono?

Io vedo solo segni di peggioramento, ovunque mi volti.
lophelia ha detto…
"vi amo tutti, voi che siete in questo blog".
lophelia ha detto…
Questo commento ĆØ stato eliminato dall'autore.
Fabio ha detto…
Il blog della generazione E (Engadina)...
lophelia ha detto…
il noto foglio color salmone riportava credo ieri un articolo in cui si parlava di "retorica dei diritti". Un'espressione che ĆØ un capolavoro di sintesi.
Fabio ha detto…
Ho cercato l'articolo nel loro sito, senza trovarlo. In compenso, sono inciampato (incredibile dictu, nel sito del Sole 24 ore) in una citazione di Leonard Cohen: "Credo che l’unica vera esperienza dell’essere umano sia la sconfitta".

Sempre solare il nostro Leonard.
lophelia ha detto…
te ne ho mandato una scansione sulla mail del lavoro.
Oltre a Cohen un'altra citazione che non ti aspetteresti dal foglio in questione, da due "analisti non ortodossi" tali N.Taleb e M.Spitznagel:
"...Chiedere ai luminari dell'economia, che non hanno visto il rischio incombente, di fare da guida fuori dalla crisi equivale a chiederlo a un cieco. Dobbiamo invece ricostruire il mondo per renderlo immune alle mistificazioni degli economisti."
Fabio ha detto…
Grazie Lo. Letto tutto d'un fiato. Condivido in pieno la tesi della "cittadinanza competente" quale alter di quella che l'articolista chiama societa' accessoria al mercato.

Va pero' certamente riconosciuta, anche nelle cifre fornite, la preponderanza numerica della seconda sulla prima.

Il problema e' secondo me che la societa' accessoria al mercato gode di adeguata rappresentanza politica, e invece la cittadinanza competente no.

Gli economisti (non tutti ma molti) mi sembrano sempre piu' appartenere a un mondo epistemologico tutto loro, dominato da modelli econometrici astratti. Belli eh, quello si'. Utili no pero' purtroppo.
CICCILLO ha detto…
questa volta concordo con Cohen...

:-)

poi rispondo a Fabio su cortei, voti etc.

intendevo dire che se i partiti che dovrebbero rappresentarti non lo fanno e anzi, si piegano a poco a poco ai voleri del mercato, considerandolo alla stregua di una legge di natura, uno poi si stufa e dice: che ci vado a fare in piazza se poi loro non mi rappresentano e anzi vanno nella direzione opposta?
e dentro questo ci sta pure uno piĆ¹ debole, piĆ¹ confuso culturalmente, che dice: beh se le cose stanno cosƬ, al diavolo tutti, io voto Lega, che almeno impedisce agli stranieri di rubarmi il lavoro e la casa.
e lo dice convinto anche se noi sappiamo che non ĆØ vero.
la questione del lavoro precario ĆØ una delle grandi tragedi del nostro tempo e uno dei piĆ¹ grandi disastri di cui la sinistra post-PCI porta una enorme responsabilitĆ .
e, spiace dirlo, anche la CGIL che si ĆØ decisa a nominare la questione e ad affrontarla quando ormai la frittata era fatta.
ora ci si ĆØ messa anche la crisi e chissĆ  per quanto tempo ne vedremo ancora e quanti voti perderemo e quante piazze vuote attraverseremo.
Fabio ha detto…
Alla tua lucida analisi aggiungerei il fondamentale contributo della televisione nel plasmare i valori di "uno piĆ¹ debole, piĆ¹ confuso culturalmente".

In Italia, negli ultimi 20 anni, tale contributo e' stato capace di stravolgere i riferimenti culturali e valoriali di un intero popolo. Noi quarantenni fatichiamo a rendercene conto, ma esiste un'intera generazione cresciuta a De Filippi, e Forum, e affermazioni qualunquiste sulle liberta' individuali, la soddisfazione dei bisogni individuali (attraverso il consumo, ovvio) e l'affermazione individuale in qualsiasi modo possibile.

Tutto oggi deve essere esclusivo, privato. Tu ti ricordi i buttafuori quando eravamo giovani noi? Non esistevano mica. Ora ci sono pure davanti alle gelaterie.

E cosi' siamo arrivati a questo punto: alla precarieta', alla legge della giungla, all'individuale vivere al di sopra delle proprie possibilita' che ha generato la miseria collettiva attuale.
CICCILLO ha detto…
ahimĆØ, sƬ, ho faticato a rendermene conto ma ora me ne rendo conto fin troppo.
a noi, e a tutta l'Italia, c'hanno fregato gli anni 90.
perĆ² posso dire a mia discolpa che, sul finire degli anni 80 io dissi a un amico mio, che puĆ² testimoniare, che l'unica cosa da fare era mettersi a far saltare i ripetitori mediaset oppure abbattere l'antennone di cologno monzese (giacchĆ© invece, sul piano politico, tutti gli hanno fatto ponti d'oro).
perchƩ tanti se ne accorgono solo ora (vedi il famoso documentario "Il corpo delle donne") ma quelle cose lƬ ci sono sempre state ed ora semplicemente dilagano e creano una specie di sub-cultura di massa.
e tra l'altro, lo so per testimonianza diretta, venivano tutte supervisionate ed approvate dal Grande Cretino in persona, che giĆ  allora non si muoveva foglia se non era lui a decidere.
e non dimentichiamoci di quanti comici, che ora sono diventati i maitre a penser della sinistra, sono passati di lƬ, sempre in tempi che, a ben guardare, erano giƠ sospetti.
l'inizio della fine era giĆ  il famoso referendum sulle interruzioni pubblicitarie.
qualcuno si ricorda in che anno fu?
Fabio ha detto…
No, ma ero scrutatore. Non venne nessuno. Il quorum non si raggiunse.

Il primo a votare, quella mattina nella mia sezione, alle 7 in punto, fu il magnifico Nazareno Fabretti, frate francescano che ci ha lasciati qualche anno fa, che considero un maestro di vita. Fu anche uno dei primi firmatari. Aveva capito tutto, tutto.

Comincio a odiare il concetto stesso di quorum. Io non ho piu' una rappresentanza politica parlamentare grazie a sto quorum del cazzo.

Il quorum e' solo un modo per non dare voce alle minoranze: dov'e' la democrazia in questo concetto?

Se ci fosse il quorum anche per ascoltare la musica tutti dovrebbero sentire Michael Jackson e altra simile merda.

Per far saltare i tralicci della Fininvest c'e' sempre tempo, peraltro.