Dipende

[Parasol Unit, Agosto 2008]


Proprio dietro a dove vivo, in quella terra di nessuno sospesa tra Angel e Old Street, ci sono due tra le gallerie d'arte che preferisco. Restano completamente nascoste, affiancate lungo un'anonima strada che porta al canale di Regent, dietro una stazione di servizio della Texaco e un inquietante McDonald Drive Thru, improbabile frammento di strada americano proiettato nel centro di Londra.

La prima delle due ad avere aperto e' la Victoria Miro gallery, dove ormai parecchi anni fa vidi la strabiliante installazione The upper room di Chris Ofili (linkata qui sotto) che poi sarebbe stata esposta alla Tate e ora chissa' dove sara'. Spazio espositivo bellissimo, con una lunga vecchia scala di legno che porta al piano superiore, tutta scricchiolante.

Poi e' arrivata la Parasol Unit, dove i lavori di ristrutturazione di quella che doveva essere una vecchia fabbrica abbandonata sono stati condotti un po' piu' aggressivamente, in stile minimalista: linee aguzze, neutro cemento, grandi spazi disadorni. E pero' un delizioso giardino con un piccolo lago, l'atmosfera del quale davvero poco ha da condividere con lo squallore urbano un po' tetro che circonda la struttura esterna.

Domenica alla Parasol Unit ho visto una bella retrospettiva di un'artista palestinese, Mona Hatoum. Che di essere palestinese non fa mistero, dato che la questione di quella terra rubata, e del conflitto che ha seguito quell'appropriazione, ritorna spesso nei suoi lavori.

Il tema e' affrontato con una grazia che e' tutta femminile. Il lavoro che ho preferito, quello nella foto che apre il post, lo trovate al piano superiore della galleria. Si intitola Present tense, e venne prodotto originariamente proprio a Gerusalemme, usando duemilaquattrocento saponette all'olio di oliva prodotte a Nablus. E usando poi quella superficie per tracciare con piccole perle rosse i confini di quel territorio che secondo il trattato di pace di Oslo tra Palestinesi e Israeliani sarebbe dovuto essere restituito ai primi, fatto che non si verifico' mai.

Molto bello anche uno spazio buio nel quale una lanterna proietta immagini di soldati. Camminando in quello spazio si perdono coordinate ed equilibri - un altro chiaro riferimento a un conflitto che sembra non trovare mai fine.

E al piano superiore della galleria vi segnalo un'altro lavoro decisamente d'effetto, una kefiah con le decorazioni realizzate in filo metallico.

A me fa sempre uno strano effetto il fatto che quando uno muore diventa improvvisamente una incolmabile perdita, una persona eccezionale, un caro amico.

Prendete le reazioni di oggi sui giornali alla scomparsa di Pininfarina. Tutti che fanno a gara, dalla Marcegaglia a Epifani, a chi la spara piu' altisonante. Ma che senso ha?

Leggete la sua ultima intervista, su Repubblica di ieri, pagina 41. Titolo: Non e' un problema italiano, da noi il superlavoro non e' mai esistito.

A un certo punto l'intervistatore gli chiede: Ingegner Pininfarina, conviene alle aziende far lavorare i dipendenti 12 ore al giorno? Risposta di Pininfarina: Dipende. Poi si lancia in una serie di distinzioni tra mansioni, lavori, ritmi.

Dipende, pensate, dipende. Sei d'accordo sull'ammazzare di lavoro le persone? E questo risponde: dipende. Ora, non voglio certo mancare di rispetto nei confronti di uno che e' scomparso proprio stamattina, pero' caspita, un minimo di umanita' nei confronti dei lavoratori da un padrone famoso in tutto il mondo, un padrone che e' stato vicepresidente di Confindustria, uno se lo aspetterebbe.

Il tempo di lavoro e' tempo necessario per guadagnare quelle risorse materiali che ci permettono di vivere dignitosamente, ma poi basta. E' il tempo libero il tempo della crescita: tempo per la cultura, gli affetti, il riposo. Tempo importante, il piu' importante della giornata.

Pretendere di annullarlo questo tempo del pensiero, della riflessione, delle relazioni, in nome del profitto di una classe padronale sempre piu' ricca e decadente nei suoi sontuosi consumi, a me sembra di una crudelta' senza limiti.

Commenti

Anonimo ha detto…
concordo in pieno con l'ultima parte del tuo post, aggiungo solo che non sono solo gli industriali a pensarla cosƬ.
La detassazione degli straordinari
ĆØ stata accolta bene in fabbrica, eppure certamente porterĆ  molte persone a lavorare di piĆ¹, ad essere piĆ¹ stanchi la sera, a rischiare di piĆ¹. Ovviamente chi rischia un incidente sul lavoro non ĆØ l'impiegato che sta alla scrivania, al quale comunque gli straordinari non vengono pagati.
Il problema sicurezza in Italia riguarda prima i morti sul lavoro, poi gli incidenti stradali, poi magari anche la grande criminalitĆ  organizzata: il nuovo governo, gente che ha fondato la sua campagna elettorale sul "problema sicurezza", non fa niente contro tutto questo, perĆ² ci manda i militari in piazza.
Forse ce li meritiamo.

Auro
Fabio ha detto…
Proprio cosi'. In Italia esiste un problema sicurezza, ma non certo per colpa dei tanto vituperati zingari, quanto piuttosto dei padroni.

I morti sul lavoro, in Italia sono quasi il doppio che in Francia, e il 30% in piu' che in Germania e Spagna.

Le vittime degli incidenti sul lavoro in Italia sono quasi il doppio rispetto alle vittime della criminalita'.

Se fossi un padrone, prima di pontificare stronzate nelle interviste, forse farei un esame di coscienza, soppesando le conseguenze delle mie parole.

Non parliamo poi degli incidenti stradali, dei quali peraltro il nostro costruttore di auto e' stato ironicamente vittima. I morti in questo caso sono 8 volte di piu' che quelli causati dalla criminalita'.

Basterebbe pensare prima di parlare. Si eviterebbe di offendere inutilmente i lavoratori. Non si chiede altro a volte.
Anonimo ha detto…
Aggiungerei solo che il problema del superlavoro in italia non riguarda solo gli operai (che ne sono spesso vittima) ma anche i giovani laureati di tutte le categorie, presi per il collo da contratti a termine che non assicurano sicurezze nĆØ per il presente nĆØ per in futuro (vecchiaia inclusa), per cui l'espressione "orario flessibile" assume un significato tutto suo...
Fabio ha detto…
Commento molto in tema. Se leggi l'intervista alla quale faccio riferimento, vedrai che il riferimento velato e' proprio al lavoro intellettuale, considerato infatti una commodity dalla quale attingere senza limiti. E poiche' molti di noi svolgono lavori intellettuali - immagino che non siano molti i lavoratori manuali che leggono London Calling - mi sono sentito particolarmente offeso.

E' comunque in atto una proletarizzazione del lavoro intellettuale, questo mi sembra indubbio.